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L' Ufficio delle Tenebre (Mercoledì Santo)

Nella serata del Mercoledì Santo, l’Arciconfraternita di S. Stefano cura un momento di preghiera comune, celebrando l’ Ufficio delle Letture del Giovedì Santo, secondo quanto previsto dall’antica “Liturgia delle Ore”.
Con lo sfondo del “Sepolcro” illuminato dalle candele e dalla saettia (un particolare candeliere a forma triangolare dotato di quindici candele), nove Confratelli si alternano nell’esecuzione, in lingua latina, di altrettanti brani tratti dalle Lamentazioni di Geremia, dagli scritti di S. Agostino e dalle lettere di S. Paolo, secondo due antichi toni musicali tipicamente molfettesi.
I Confratelli preposti, sono per tradizione sempre gli stessi e spesso si tramandano questo «privilegio» di generazione in generazione. Le letture (dette lezioni) sono cantate a gruppi di tre, dando origine ai cosiddetti “notturni”. Ogni notturno è intervallato dai salmi (dal 68 al 76), cantati in italiano dai fedeli presenti. Al termine di ogni lettura o salmo, si spegne una candela che illumina il “Sepolcro”, fino a lasciarne accesa solo una posta sulla sommità della saettia che, a sua volta, è spenta non appena i fedeli terminano di intonare in latino il Cantico di Zaccaria ed il celebrante ha impartito la benedizione in gregoriano.
La chiesa resta così nell’ oscurità. L’ambiente è rischiarato solo dalla luce fioca dei ceri posti nei lumi, che adornano i cinque Misteri. Con il loro tremolio, conferiscono agli stessi quasi l’illusione di una reale agonia del Figlio di Dio.
È questo l’ istante in cui si esegue il “terremoto”. I Confratelli ed i fedeli scuotono le sedie o battono libri sui banchi causando un fragoroso rumore, con il quale si vuole descrivere lo sconvolgimento delle forze della natura seguito alla morte di Gesù.
Si richiama così alla memoria, la drammatica circostanza della storia della Salvezza in cui Gesù, luce del Mondo, alla vigilia della Sua Passione e Morte, viene abbandonato, rinnegato e tradito dai suoi stessi discepoli. Le candele spente rappresentano appunto il loro amore verso il Redentore, che si fa sopraffare dalla paura, dal dolore, dalla cupidigia, dalle debolezze umane: “È l’ ora delle tenebre” (Lc 22,53).
Un tempo l’ Ufficio aveva luogo subito dopo la Messa in Coena Domini del Giovedì Santo e precedeva l’uscita dei Misteri. Con il cambio degli orari, disposti negli anni per venire incontro alle esigenze espresse di volta in volta dal clero o dalla popolazione, la Confraternita ha ritenuto opportuno anticiparla alla sera del Mercoledì. Dopo la funzione liturgica, i Confratelli si riuniscono in gruppi per consumare la cosiddetta “Coena Domini”, un’ agape fraterna che costituisce un momento di aggregazione e di preparazione spirituale alla processione del Venerdì Santo, quasi a rievocare l’Ultima Cena.
L’argomento delle discussioni è sempre lo stesso. Ascoltando in sottofondo le marce funebri, i partecipanti si raccontano aneddoti sulla Settimana Santa, sulle figure tipiche della Confraternita (quelle viventi e quelle oramai scomparse), sui numeri estratti in occasione della “Bussola”, sulla fortuna che sembra prediligere alcune coppie di portatori o sulla sfortuna che, al contrario, sembra perseguitarne altre.
La “Coena Domini” è anche un’ opportunità per riabbracciare i Confratelli residenti fuori Molfetta, rientrati presso le proprie famiglie per trascorrere la Santa Pasqua.
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- Testo tratto dal sito dell' Arciconfraternita di S. Stefano .
- Foto proveniente dall' archivio privato del dott. Franco Stanzione.



(cliccare per ascoltare la I Lamentazione) (*)

(*) Riscoperta e recupero di una tradizione compositiva, musicale e canora.
È il risultato di un'indagine iniziatasi da alcuni anni fra i fondi musicali degli Archivi Diocesani di Molfetta e di Ruvo di Puglia.

L'Ensemble Calixtinus ha voluto offrire un saggio del patrimonio artistico e religioso appartenente alle locali comunità ecclesiali; esso, però non ne esaurisce la ricchezza e la varietà. Piuttosto testimonia il perdurare- fra il XVIII e XIX secolo- di un modo di concepire il canto liturgico secondo schemi e moduli consolidati anche nella tradizione locale.

È un modo di comporre che rispecchia nel proprio del Giovedì Santo, contenuto nel Graduale della Cattedrale di Ruvo di Puglia (XVIII sec.). Si tratta di composizioni in cantus-fractus a tre voci e in cantus binatim su temi pseudo gregoriani, i quali, con molta probabilità hanno avuto per autori i musicisti della chiesa ruvese. Infatti, era prassi abbastanza diffusa, specialmente nelle cattedrali, l'affidare a compositori professionisti- spesso appartenenti al clero locale- l'incarico di provvedere al canto liturgico durante le celebrazioni.

Cosi avveniva anche nella Cattedrale di Molfetta, tant'è che Pantaleo Spagnoletta - canonico del Capitolo e autore della Messa in 1° tono, interpretata da Calixtinus - fa parte di un'antica dinastia cittadina di maestri di cappella e organisti, della quale Gaetano Villani (XVII-XVIII sec.), Antonio Pansini (1703-1791) e Vito Antonio Cozzoli (1777-1817) furono gli esperti più noti e apprezzati.

Durante il XIX secolo, ulteriori testimonianze del perdurare di questo manierismo sono i canti "tradizionali" della Settimana Santa, soprattutto i toni delle letture comprese nel Mattutino dell'Ufficio delle Tenebre. Essi assecondano lo stile compositivo della musica popolare e ricalcano le modalità gregoriane (1° e 2° modo) con le tipiche contaminazioni della musicale tonale ottocentesca.

VEXILLA
CANTI DELLA SETTIMA SANTA

ENSEMBLE CALIXTINUS

Giovannangelo de Gennaro direzione
Vito Giammarelli
Dario D'Abbicco
Cosimo Giovine
Antonio Magarelli
N.B. - Tutte le foto provengono dall' archivio privato del dott. Franco Stanzione ed è vietato riprodurle senza il suo consenso e/o omettendo di citarne la fonte.

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